Espressione che indica l’insieme delle concezioni e delle posizioni assunte dalla filosofia illuminista (sec. XVIII) riguardo al diritto.
Pur nella eterogeneità delle concezioni giuridiche espresse dal pensiero riformatore nell’Europa settecentesca, è possibile individuare alcune caratteristiche comuni a tutte.
Innanzitutto, come in qualsiasi campo, anche nell’ambito del diritto l’atteggiamento degli Illuministi fu generalmente razionalistico e polemico nei confronti della tradizione, delle istituzioni giuridiche e dell’ordine morali e normative vigenti.
La profonda fiducia nutrita dagli illuministi nelle capacità della ragione umana di innovare radicalmente l’assetto tradizionale si combina con l’individualismo, che attribuisce un ruolo centrale all’uomo, a cui vengono riconosciuti nuovi diritti sia verso lo Stato, sia verso gli altri individui.
L’(—) fa propria anche la tesi utilitaristica [vedi Utilitarismo], in virtù della quale è moralmente buono solo ciò che rende possibile il conseguimento dell’utilità generale.
Per gli Illuministi dunque è fondamentale rompere col passato, con la tradizione e la storia e procedere alla razionalizzazione del diritto vigente.
Come i giusnaturalisti [vedi Giusnaturalismo], essi affermano l’esistenza di un diritto naturale (espressione della natura razionale dell’uomo). Tale diritto è universale e sovraordinato a qualsiasi legislazione storicamente realizzata. A differenza dei giusnaturalisti, tuttavia, gli illuministi ritengono che la razionalità delle norme del diritto naturale possa realizzarsi solo nel diritto positivo. Essi affidano alla volontà razionale del legislatore e quindi alla legge il compito di tradurre in diritto vigente le norme del diritto naturale.
La legge è espressione della ragione umana, anzi è la ragione stessa e per questo ha una innegabile forza riformatrice, ponendosi in una posizione di preminenza nel sistema delle fonti del diritto.
Alla funzione riformatrice dell’ordinamento vigente attribuita alla legge si ricollegano la necessità che quest’ultima venga applicata esclusivamente dal giudice attraverso un’interpretazione che ne rispetti la natura razionale, nonché l’esigenza che essa sia conoscibile a priori, facilmente intellegibile e tale da non dare adito a dubbi.
Nel campo penale le esigenze di razionalizzazione degli Illuministi danno luogo ad una concezione complessivamente garantista ( in cui si inseriscono l’abolizione della tortura, della pena di morte, dei delitti di magia e stregoneria) ed ispirata a tre principi:
— la necessità di una proporzione tra reato e pena;
— la necessità di rendere più umano il trattamento del reo;
— la necessità di rendere la pena funzionale alla rieducazione del reo.
In particolare, C. Beccaria nell’opera 'Dei delitti e delle pene' (1764) pone l’accento sulla necessità di applicare con certezza e rapidità una pena che non necessariamente deve essere terribile, dal momento che una pena mite ma certa ha un potere intimidatorio superiore rispetto a quello di una pena terribile ma incerta nella sua applicazione.
Le istanze illuministe furono accolte in numerosi Stati europei, tra cui la Russia di Caterina II, la Prussia, l’Impero austroungarico e il Granducato di Toscana di Pietro Leopoldo. Infine, tali principi furono accolti anche nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata dall’Assemblea costituente francese nel 1789.