Giuspositivismo

Concezione del diritto sviluppatasi nel corso del 19° sec., che identifica il diritto con il diritto positivo, quello cioè posto da una volontà sovrana espressa nella legge effettivamente applicata nello Stato. Più precisamente, l’espressione si riferisce a un complesso di posizioni teorico-politiche sul diritto, spesso anche incompatibili tra loro, e non è direttamente riconducibile al positivismo filosofico, che ha piuttosto determinato un approccio sociologico al diritto, dando luogo agli studi di sociologia del diritto e alla giurisprudenza sociologica (un connubio tra realismo giuridico e giusnaturalismo). Nel suo approccio scientifico al diritto, e nella sua pretesa di studiare e descrivere il diritto così com’è, e non come dovrebbe essere sulla base di un contenuto oggettivo di giustizia (alla quale il g. nega ogni valore teoretico), tale orientamento si è contrapposto al giusnaturalismo, sebbene la tendenza formalistica a fare del diritto un sistema scientifico (sotto forma di teoria generale del diritto) si possa far risalire ai giusnaturalisti seicenteschi. Poiché oggetto del g. è lo studio del diritto in quanto posto da una volontà normativa, inizialmente esso ha assunto una concezione imperativistica del diritto, centrata sulla considerazione della legge quale mezzo di espressione del comando del legislatore. Tale concezione ha condotto gradualmente il g. a distinguere il concetto di creazione da quello di applicazione della normae alla conseguente elaborazione della teoria della separazione dei poteri. Ai fini di una giurisprudenza applicativa, è prevalso il formalismo interpretativo, ossia una concezione meccanica e letterale dell’interpretazione della legge. Da questa impostazione sono derivati alcuni principi tipici del g.: la completezza, l’unitarietà e la coerenza dell’ordinamento, la sua autosufficienza e autonomia rispetto a qualunque valutazione esterna. In particolare, il principio secondo cui un ordinamento giuridico esiste solo se effettivo è prevalso sulla teoria della legittimità della norma, superando così quel normativismo giuridico che ha raggiunto l’apice con H. Kelsen.

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