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Corso: GIO2045781 - METODOLOGIA E INFORMATICA GIURIDICA 2019-2020 (MIG CDL 2019/2020)
Glossario: Glossario MIG
E

Ermeneutica

Termine di origine greca che in filosofia indica l’arte o la tecnica dell’interpretazione.

Nel medioevo, nella Riforma protestante e fino al Seicento l’(—) fu soprattutto «teologica», in quanto ebbe ad oggetto prevalentemente i testi delle Sacre Scritture.

Dal XVIII secolo in poi l’(—) passò dal ristretto campo dell’esegesi biblica ad ogni tipo di testi che presentassero difficoltà interpretative (per motivi storici, psicologici, linguistici ecc).

Nell’Ottocento il termine indicò la forma di comprensione della realtà storica e spirituale di un testo, considerato come un prodotto fornito di vita autonoma rispetto al suo autore. In particolare, secondo Schleiermacher (1768-1834) e tutta l’(—) romantica, poiché un testo vive oltre l’epoca del suo autore, è possibile all’interprete fornire un significato più preciso di quello che l’autore stesso fornì ai suoi contemporanei. Nella concezione del filosofo tedesco l’interprete doveva fare attenzione nella sua attività ermeneutica al linguaggio, ai collegamenti tra una singola opera e la produzione complessiva dell’autore, alle interazioni tra le diverse parti del testo scritto e all’ambiente storico dell’autore.

Con W. Dilthey (1833-1911) si ha l’esplicita identificazione dell’interpretazione con il sapere storico, con la conseguenza che l’(—) diviene la forma di conoscenza tipica di tutte le scienze storiche, pur mantenendo il suo necessario riferimento ai testi scritti.

Nel Novecento M. Heidegger (1889-1976) approfondì la concezione dell’(—) come tecnica che svela il significato dell’esistenza attraverso il linguaggio.

Gadamer (1900) elaborò il concetto di «circolo ermeneutico» che si determina a causa delle molteplici interpretazioni che dal testo l’interprete può ricavare, a seconda del rapporto che instaura con l’opera letteraria.


G

Giusnaturalismo

Dottrina filosofico-giuridica configurata nei secoli XVII e XVIII ad opera di pensatori quali Grozio, Hobbes, Locke, Pufendorf. Tardi sviluppi del (—) possono essere considerati il pensiero di Rousseau e Fichte.

Tale dottrina giudica la validità dell’ordinamento giuridico vigente in base alla sua conformità alle norme del diritto naturale, le quali sono di per sé razionali e preesistenti alle norme giuridiche poste dallo Stato. In tale ottica il (—) si colloca in perfetta antitesi con il giuspositivismo.

L’importanza storica del (—) consiste nell’aver fornito una connotazione laica all’idea di Stato e un fondamento non divino bensì umano ai poteri dei governanti.

Il (—) formula l’ipotesi dell’esistenza di un originario stato di natura, anteriore ad ogni società positivamente organizzata [vedi Società], in cui l’uomo gode di diritti naturali, il cui fondamento è dedotto non da un preteso ordine naturale o da Dio, ma dalla ragione umana (recta ratio ciceroniana): è naturale solo ciò che la ragione qualifica in termini di giustizia. Il diritto naturale si oggettiva in diritti soggettivi innati, imprescrittibili e inalienabili (vita, libertà, proprietà), di cui ciascun individuo è titolare.

Il passaggio alla società civile e, quindi, alla positività del diritto, è avvenuto grazie alla stipulazione di un patto originario, che per necessità (Hobbes) o per calcolo o per libera scelta (Rousseau), tutti gli uomini si sarebbero impegnati a contrarre. Tale contratto ha dato origine alla società e allo Stato, la cui esistenza ha creato una situazione di maggiore sicurezza, garantita da norme finalizzate, in primo luogo, proprio alla salvaguardia dei diritti naturali dell’uomo. Con ciò il (—) sostiene l’origine umana dello Stato e stabilisce i limiti del potere statuale, oltre i quali esiste solo arbitrio.

In età contemporanea il (—) sta ad indicare quella corrente di pensiero incline ad attribuire priorità assoluta ai valori [vedi Valore] professati dall’ordinamento giuridico, quali libertà e uguaglianza e ad interpretare alla luce di questi le norme e giuridiche, spesso astratte, poco aderenti alla realtà sociale e incapaci di soddisfare concrete esigenze di giustizia.

Giuspositivismo

Concezione del diritto sviluppatasi nel corso del 19° sec., che identifica il diritto con il diritto positivo, quello cioè posto da una volontà sovrana espressa nella legge effettivamente applicata nello Stato. Più precisamente, l’espressione si riferisce a un complesso di posizioni teorico-politiche sul diritto, spesso anche incompatibili tra loro, e non è direttamente riconducibile al positivismo filosofico, che ha piuttosto determinato un approccio sociologico al diritto, dando luogo agli studi di sociologia del diritto e alla giurisprudenza sociologica (un connubio tra realismo giuridico e giusnaturalismo). Nel suo approccio scientifico al diritto, e nella sua pretesa di studiare e descrivere il diritto così com’è, e non come dovrebbe essere sulla base di un contenuto oggettivo di giustizia (alla quale il g. nega ogni valore teoretico), tale orientamento si è contrapposto al giusnaturalismo, sebbene la tendenza formalistica a fare del diritto un sistema scientifico (sotto forma di teoria generale del diritto) si possa far risalire ai giusnaturalisti seicenteschi. Poiché oggetto del g. è lo studio del diritto in quanto posto da una volontà normativa, inizialmente esso ha assunto una concezione imperativistica del diritto, centrata sulla considerazione della legge quale mezzo di espressione del comando del legislatore. Tale concezione ha condotto gradualmente il g. a distinguere il concetto di creazione da quello di applicazione della normae alla conseguente elaborazione della teoria della separazione dei poteri. Ai fini di una giurisprudenza applicativa, è prevalso il formalismo interpretativo, ossia una concezione meccanica e letterale dell’interpretazione della legge. Da questa impostazione sono derivati alcuni principi tipici del g.: la completezza, l’unitarietà e la coerenza dell’ordinamento, la sua autosufficienza e autonomia rispetto a qualunque valutazione esterna. In particolare, il principio secondo cui un ordinamento giuridico esiste solo se effettivo è prevalso sulla teoria della legittimità della norma, superando così quel normativismo giuridico che ha raggiunto l’apice con H. Kelsen.

Giusrealismo

Corrente di pensiero che riunisce varie concezioni del diritto (giurisprudenza degli interessi, giurisprudenza sociologica, giusliberismo, teoria del rapporto giuridico, istituzionalismo, realismo giuridico americano e scandinavo), accomunate dal fatto di attribuire rilevanza all'effettiva operatività del diritto nella società e alla sua concreta applicazione da parte dei giudici nei tribunali. Tali teorie si contrappongono al formalismo giuridico e al legalismo giuspositivista, nonché al cognitivismo etico del giusnaturalismo, inteso come possibilità di fondazione oggettiva dei valori e, in particolare, della giustizia.

I

Illuminismo giuridico

Espressione che indica l’insieme delle concezioni e delle posizioni assunte dalla filosofia illuminista (sec. XVIII) riguardo al diritto.

Pur nella eterogeneità delle concezioni giuridiche espresse dal pensiero riformatore nell’Europa settecentesca, è possibile individuare alcune caratteristiche comuni a tutte.

Innanzitutto, come in qualsiasi campo, anche nell’ambito del diritto l’atteggiamento degli Illuministi fu generalmente razionalistico e polemico nei confronti della tradizione, delle istituzioni giuridiche e dell’ordine morali e normative vigenti.

La profonda fiducia nutrita dagli illuministi nelle capacità della ragione umana di innovare radicalmente l’assetto tradizionale si combina con l’individualismo, che attribuisce un ruolo centrale all’uomo, a cui vengono riconosciuti nuovi diritti sia verso lo Stato, sia verso gli altri individui.

L’(—) fa propria anche la tesi utilitaristica [vedi Utilitarismo], in virtù della quale è moralmente buono solo ciò che rende possibile il conseguimento dell’utilità generale.

Per gli Illuministi dunque è fondamentale rompere col passato, con la tradizione e la storia e procedere alla razionalizzazione del diritto vigente.

Come i giusnaturalisti [vedi Giusnaturalismo], essi affermano l’esistenza di un diritto naturale (espressione della natura razionale dell’uomo). Tale diritto è universale e sovraordinato a qualsiasi legislazione storicamente realizzata. A differenza dei giusnaturalisti, tuttavia, gli illuministi ritengono che la razionalità delle norme del diritto naturale possa realizzarsi solo nel diritto positivo. Essi affidano alla volontà razionale del legislatore e quindi alla legge il compito di tradurre in diritto vigente le norme del diritto naturale.

La legge è espressione della ragione umana, anzi è la ragione stessa e per questo ha una innegabile forza riformatrice, ponendosi in una posizione di preminenza nel sistema delle fonti del diritto.

Alla funzione riformatrice dell’ordinamento vigente attribuita alla legge si ricollegano la necessità che quest’ultima venga applicata esclusivamente dal giudice attraverso un’interpretazione che ne rispetti la natura razionale, nonché l’esigenza che essa sia conoscibile a priori, facilmente intellegibile e tale da non dare adito a dubbi.

Nel campo penale le esigenze di razionalizzazione degli Illuministi danno luogo ad una concezione complessivamente garantista ( in cui si inseriscono l’abolizione della tortura, della pena di morte, dei delitti di magia e stregoneria) ed ispirata a tre principi:

— la necessità di una proporzione tra reato e pena;

— la necessità di rendere più umano il trattamento del reo;

— la necessità di rendere la pena funzionale alla rieducazione del reo.

In particolare, C. Beccaria nell’opera 'Dei delitti e delle pene' (1764) pone l’accento sulla necessità di applicare con certezza e rapidità una pena che non necessariamente deve essere terribile, dal momento che una pena mite ma certa ha un potere intimidatorio superiore rispetto a quello di una pena terribile ma incerta nella sua applicazione.

Le istanze illuministe furono accolte in numerosi Stati europei, tra cui la Russia di Caterina II, la Prussia, l’Impero austroungarico e il Granducato di Toscana di Pietro Leopoldo. Infine, tali principi furono accolti anche nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata dall’Assemblea costituente francese nel 1789.

Informatica giuridica

Metodologia che qualifica l'attività di ricerca e di risoluzione di questioni controverse compiuta dal giurista attraverso strumenti digitali e telematici

Informatica giuridica documentaria

Ricerca del diritto (legal research); processo di identificazione automatizzata dei dati di supporto al processo decisionale del giurista; tecnica di ricerca delle fonti giuridiche (quali le norme della legge positiva o le massime della giurisprudenza), raccolte in forma più o meno sistematica nelle banche dati elettroniche, oggi quasi esclusivamente rinvenibili nella rete telematica.

Information overload

Sovraccarico di informazioni

Infosourcing

Raccolta di tutte le informazioni (testi, immagini, video, ecc.) necessarie per l'avvio della fase di produzione di contenuti

L

Luddismo

Movimento operaio che in Inghilterra, all’inizio del sec. 19°, reagì violentemente contro l’introduzione delle macchine, ricorrendo, come metodo di lotta, alla distruzione delle macchine stesse, considerate la causa principale della crescente disoccupazione.